UTE Cassano Murge

Concorso “NONNI E NIPOTI, UN LEGAME DA RACCONTARE” - Terza edizione

Primo posto ex aequo - Sezione Scrittura U.T.E.
SERAFINA LANZOLLA
UTE Cassano delle Murge
I NOSTRI TEMPI

Due generazioni a confronto: Sara, 73 anni, nata in un’Italia che si ricostruiva, ex sarta, oggi all’università della terza età; Sebastiano, 14 anni, studente del liceo classico, immerso in un presente veloce e iperconnesso. Una conversazione tra Cassano e Treviso, tra due tempi che cercano di parlarsi.

Il presente del passato è memoria.
Il presente del presente è visione.
Il presente del futuro è attesa.
Il tempo non è un fiume che scorre via:
è un cerchio che si tende,
una ferita che si richiude e poi si riapre, è un’eco.
E noi,
siamo la sua carne viva.

Intervistatrice: Com’era il tuo tempo, Sara?
Sara: Il mio tempo era più lento. Faticoso, ma ordinato. C’erano poche scelte e tanto senso del dovere. Non si stava a pensare troppo a cosa si voleva diventare: si lavorava, si obbediva, si cresceva in fretta.
Sebastiano: Il mio invece è tutto l’opposto. Ho troppe scelte, e a volte sembra di dover già essere tutto, subito. È come se non ci fosse tempo per diventare, ma solo per dimostrare. E si è sempre connessi, ma anche spesso soli.
Sebastiano: Che cos’è il tempo? Quando nessuno me lo chiede, lo so. Ma se tu me lo domandassi — qui, ora — non saprei come spiegarmi. Lo sento correre, lo vedo nei giorni che non tornano, nei capelli di mamma, nei miei quaderni già vecchi dopo un trimestre. Mi sveglio ogni giorno un po’ più grande, eppure non so dire in che istante, esattamente, smetto d’essere bambino. È come sabbia tra le dita: non puoi afferrarlo, ma ti accorgi che se n’è andato solo quando la mano è vuota.
Sara: Il tempo… Per noi era il pane quotidiano e la domenica al mercato, era l’orologio del campanile e la voce di mia madre che diceva: “È tardi.” Era cucito nei vestiti che confezionavo, nascosto negli orli stretti delle gonne che cambiavano con le mode. Non lo pensavamo, lo vivevamo. Ora, guardando indietro, mi sembra un grande tessuto fatto di memorie cucite insieme: il presente del passato è la memoria. E io vivo ormai quasi tutta in quel tempo lì.

Intervistatrice: Dove vi somigliate, secondo voi?
Sara: Nella voglia di capire il mondo. Io da giovane volevo leggere, ma non potevo. Ora recupero. Lui ha i libri, le lingue antiche, ma anche la confusione dell’oggi. Eppure entrambi abbiamo fame di senso.
Sebastiano: E ci somigliamo anche nella paura. Io ho paura di non essere all’altezza. Lei ha avuto paura di restare indietro. La paura, mi sa, non ha età.

Intervistatrice: E dove invece vi sentite distanti?
Sebastiano: Io vivo in un tempo che non si ferma mai. È tutto veloce, tutto pubblico. Lei viveva in un tempo più silenzioso. Meno possibilità, ma anche meno ansia.
Sara: Lui è libero, ma sotto pressione. Io ero controllata, ma più radicata. Una differenza grande è questa: noi avevamo il futuro come speranza. Loro, spesso, lo vedono come un’incertezza.
Sebastiano: Ho paura di perdermi. Di dimenticare i giorni, di non lasciare nulla. Scrivo, fotografo, archivio. Riempio hard disk, ma non so se salvo davvero qualcosa. Mi domando: quando finirò il liceo, che resterà di queste giornate infinite? E quando sarò grande, ricorderò la tua voce, o solo la tua foto profilo su WhatsApp?
Sara: Si perde quasi tutto. Si salvano gli odori, a volte. Il profumo del basilico, la carta dei quaderni, la voce stanca di mio padre. E poi le parole dette con amore. Quelle sì, restano. Ma il resto… si dissolve piano, come la nebbia quando arriva il sole. Eppure, qualcosa rimane. Una voce, una frase, un gesto, che ci supera e va avanti.

Intervistatrice: Che criticità vedete nel vostro tempo?
Sara: Ai miei tempi mancava la libertà, soprattutto per le donne. E si parlava poco di sentimenti. Il dolore si ingoiava. Ora si parla tanto, ma forse si ascolta poco.
Sebastiano: Noi rischiamo di perdere il senso della realtà. Viviamo nei social, nel virtuale. Il corpo, il tempo, le relazioni vere diventano quasi un peso. E poi la solitudine: siamo pieni di notifiche, ma senza dialogo.

Intervistatrice: E invece quali sono le opportunità?
Sara: Per me, poter imparare ancora. Non è mai troppo tardi. E vedere mio nipote studiare, pensare, cercare… è una gioia. Significa che il tempo non è sprecato.
Sebastiano: Io ho l’opportunità di scegliere, di sbagliare, di ricominciare. E ho lei: la sua memoria, la sua calma. Il tempo dei nonni ci insegna a rallentare. È un tempo che non si trova nei libri, ma nelle mani e nelle storie. Se nulla passasse, non vi sarebbe un tempo passato. Se nulla si approssimasse, non ci sarebbe un tempo futuro. Se nulla esistesse, non ci sarebbe nemmeno il presente. Il passato non è più, il futuro non è ancora, e il presente — se fosse davvero sempre presente — non sarebbe tempo, ma eternità.
Sara: Il tempo, per me, è ora un compagno che cammina piano. Lo ascolto, lo ringrazio, a volte lo rimprovero. Ho smesso di rincorrerlo. Ho imparato a sedermi accanto a lui.
Sebastiano: Per me è un’ansia. Un orologio che suona troppo presto. Un compito in scadenza, un futuro che preme. Ma se ti ascolto, forse posso imparare anch’io a fermarmi.

Tra generazioni non c’è solo distanza. C’è un ponte fatto di ascolto, memoria e possibilità. Il tempo cambia, ma il bisogno di capire, di amare e di sperare resta.
E forse, come dice Sara: “Il tempo giusto non è quello che corre, ma quello che si condivide.”