UTE Cassano Murge

Concorso “NONNI E NIPOTI, UN LEGAME DA RACCONTARE” - Terza edizione

Primo Posto Sezione Scrittura Scuola Secondaria 2° grado
FRANCESCA PANZARINO
Liceo “don Lorenzo Milani”, Acquaviva - Sede associata “Leonardo da Vinci”, Cassano
Ho 16 anni e, come parte di un compito scolastico, devo confrontare la vita dei nonni da giovani con la mia. Ho pensato che fosse l'occasione perfetta per registrare le loro storie e conoscere meglio come si viveva prima.
«Com'era la vostra vita quando avevate più o meno la mia età?» chiedo, curiosa, mentre bevo un tè seduta vicino alla nonna.
La nonna, 71 anni, inizia a raccontare. «Avevo 16 anni e già lavoravo nei campi. Mi svegliavo all'alba per andare a raccogliere la frutta. Abbiamo lavorato tanto, al sole, manualmente e con sforzo. Tornavo a casa esausta e con le mani piene di tagli e vesciche. La scuola l’avevo lasciata a 10 anni: ho solo la quinta elementare. Era tutto ciò che la mia famiglia poteva permettersi.»
Il nonno, 81 anni, annuisce. Anche lui aveva abbandonato la scuola dopo la quinta elementare. «A 16 anni lavoravo in fabbrica. Lunghi turni, macchinari rumorosi, l'odore del ferro nell'aria e poco tempo per se stessi. Ma allora era normale così. Solo i bambini delle famiglie ricche o quelli che vivevano in città studiavano. Noi, invece, pur essendo solo dei ragazzi, dovevamo portare a casa il pane.»
Li guardo, cercando di immaginare come fosse vivere così, giorno dopo giorno, alla mia età. Non riesco a pensare ad una vita di lavoro a soli 16 anni. Ora frequento la scuola cinque giorni alla settimana, ho lezioni pomeridiane, sport, amici, social media che mi tengono continuamente occupata. Mi lamento molto di essere esausta, ma la loro fatica era diversa, più fisica, più genuina.
«Avevate tempo libero? E come lo passavate?» continuo a chiedere, sempre più incuriosita. La nonna sorride. «Poco, ma era sufficiente. Stavo con la mamma e cucinavamo insieme ogni giorno. Quando giocavamo, ci accontentavamo di poco: una corda, delle pietre, delle bambole fatte da mamma o da qualche sorella. E la sera parlavamo, raccontavamo storie.» Il nonno prosegue: «Giocavo al pallone con i bambini del paese. Giocavamo con una palla di stoffa o costruivamo giochi con gli scarti di legno. Non avevamo TV, nemmeno un telefono. Per comunicare, ci riunivamo. Andavamo a trovare i nostri amici sotto casa e se non c'era, tornavamo più tardi. Tutto era più lento, ma più vero.»
La differenza con la mia generazione è notevole. Abbiamo mille scelte, mille stimoli, eppure a volte siamo annoiati. Trascorriamo ore davanti a uno schermo, aspettando che qualcosa accada. I miei nonni, con pochissimo, hanno vissuto momenti reali. «E la scuola, com'era?»
«La scuola era severa,» afferma il nonno. «Si rispettavano i professori, quasi come si rispettavano i genitori. Se prendevi un cattivo voto, nessuno accusava la scuola o l'insegnante. Si diceva solo che bisognava sforzarsi di più. Ma, terminata la quinta, bisognava lavorare. Non c'era alternativa, così era per molti.»
La nonna spiega che le è sempre piaciuto leggere, anche se non era in grado di proseguire gli studi. «Avrei voluto continuare, forse diventare maestra, ma eravamo in otto fratelli. Mio padre disse che era sufficiente saper leggere e far di conto. I libri li prendevo in prestito da un'amica o da un vicino. Leggevo la sera, quando avevo tempo, alla luce della cucina.»
Io, invece, ho mille testi davanti a me. Posso frequentare il liceo, poi l’università, posso viaggiare, imparare le lingue, scoprire il mondo. Ma c'è un limite in questa libertà. La maggior parte delle volte non so cosa voglio fare, mi sento sotto pressione, come se dovessi sempre fare qualcosa di straordinario. Quando cerco di descrivere questa sensazione di preoccupazione ai miei nonni, mi ascoltano attentamente, senza giudicare. «La vostra lotta è diversa,» afferma la nonna. «Noi lottavamo con il corpo. voi con la testa e l'anima. È più difficile di quanto tu possa pensare.»
E poi si parlava di relazioni. «Come erano gli amori e le amicizie?»
La nonna parla di rapporti profondi. «Non ci vedevamo spesso, ma ci amavamo sul serio. Le amicizie duravano decenni. L'amore era lento, con sguardi rubati e lettere scritte a mano. Ci scrivevamo e aspettavamo la risposta. Ogni parola contava.»
Il nonno si intromette, dicendo: “Non c'erano messaggi, emoji o cuoricini. Se ti piaceva qualcuno, glielo dicevi guardandolo negli occhi oppure lo capiva da come lo guardavi.” Dico che le relazioni di oggi sono rapide. I social media ci permettono di rimanere in contatto, ma creano anche distanze. Parliamo molto tra di noi, ma in realtà ascoltiamo molto poco.
Quando chiedo alla nonna cosa le manca di più della loro epoca sospira. «Mi manca la semplicità. Avevamo meno e godevamo di più. Anche un dessert fatto in casa era una festa.» Il nonno continua: «Mi manca il silenzio. Ora c'è sempre fretta, rumore. Una volta c'era il tempo di ascoltare il vento, guardare il cielo cambiare colore. Ed era sufficiente.» E poi domando se esista qualcosa per cui invidiano la mia generazione. «Sì», aggiunge la nonna. «La possibilità di imparare, di viaggiare, di scegliere chi vuoi essere. Hai il mondo a portata di mano, davvero.»
Il nonno continua: «Hai più strumenti, più libertà, anche se è più difficile usarli bene. Ma hai pure più speranza.» Questo mi ha portato a riflettere. A volte mi lamento di quello che ho, dimenticando che avevano molto meno e non si sono mai lamentati. Ognuno ha la sua lotta: la loro era povertà, duro lavoro, poche scelte. La mia è ansia da prestazione, solitudine mascherata da connessione, dover sempre dimostrare qualcosa. Eppure, nonostante queste differenze, ci sono anche somiglianze. Entrambi vogliamo costruire qualcosa, essere gioiosi ed essere amati. I pilastri sono gli stessi, ma il mondo intorno è diverso. Ci separiamo con un sorriso. Sono grata che mi abbiano insegnato che, nonostante i tempi cambino, i valori sono sempre gli stessi.